sabato 8 maggio 2010

Elogio di Jean-Baptiste Adamsberg (e degli Evangelisti)






Breve invito a leggere, se non lo fate già, le saghe di Fred Vargas.
Dei libri bisogna parlarne quando ci stai dentro, ben bene. Altrimenti, poi, ti dimentichi i particolari. Le emozioni. La bellezza.
Così, qualche sera fa, mentre trattenevo a stento i sorrisi per la descrizione monumentale di un dialogo in un bar in Normandia, avevo la netta percezione di frequentare da mesi un gruppo di personaggi adorabili. Nati, tutti, da una penna assai felice. Quella di Fred Vargas.
Una frequentazione così felice da giustificare, per gratitudine, un piccolo tributo. Questo.
Premessa: adoro i romanzi seriali, le saghe letterarie. Sono cresciuto con Pepe Carvalho, Benjamin Malaussene e Julius Il Cane.
Ho letto in fila, rigorosamente cronologica, le opere di Kurt Vonnegut e Isaac Asimov, Stefano Benni e Gabo Marquez. Tengo ancora da parte un libro di José Saramago, i cui libri che mi accompagnano dal '91, non perché non voglia leggerlo ma per l'illusione di avere sempre qualcosa di suo da leggere: come il galeone di Dylan Dog (che lui non finisce mai di costruire, altrimenti poi che fa?), come il nuovo film di Clint Eastwood, senza il quale non si vive (o si vive male: che è anche peggio).
Ho pianto con Fabio Montale e la saga monumentale di Jean-Claude Izzo, ho provato ad essere ultimo passero sul ramo con Johnny e Milton, nei reticoli della guerra civile di Beppe Fenoglio. E ho sputato fiele, ingoiando rospi, con l'Alligatore di Massimo Carlotto, uno dei pochi rinati veri di questo paese.

Ero, quindi, ampiamente fertile, ricettivo, per i romanzi (seriali) di Fred Vargas. Da queste parti, nei dibattiti, la si cita più che altro perché amica di Cesare Battisti, a cui ha anche dedicato un libro (ovviamente mai tradotto). E' un dettaglio  - importante - nella storia di una scrittrice che usa uno pseudonimo, specializzata in medievistica (come un suo personaggio), figlia di una chimica e di un surrealista: bel melange.
E' a lei che dobbiamo la nascita di personaggi straordinari. Jean-Baptiste Adamsberg, Louis Kelweihler detto "Il Tedesco" (uno che porta con sé un rospo, Bufo, strano caso di animale domestico da nascondere in tasca) e i Tre Evangelisti.
La Vargas scrive gialli di cui quasi sempre si intuisce subito il colpevole. L'interesse è altrove. Non nei particolari macabri (che non ci sono: non è Patricia Cornwell), ma nella caratterizzazione dei personaggi.
Da noi la pubblica Einaudi, che malauguratamente non ne ha rispettato l'ordine cronologico, trattando le due saghe (quella di Adamsberg e quella degli Evangelisti, che ogni tanto si incrociano) un po' come Mediaset con il Dottor House.
Il mio consiglio, se non l'avete letta già, è invece quello di seguire l'ordine cronologico, da Chi è morto alzi la mano in poi.
Avvertenza: qualcosa deve ancora essere pubblicato (le prime cose, alcuni racconti) e i libri migliori non sono i primi - la Vargas è andata migliorando, lo scarto si avverte da Io sono il Tenebroso in poi -, ma seguendo l'ordine cronologico apprezzerete tutti i dettagli. Che sono, va da sé, fondamentali.
Ognuno ha i suoi personaggi preferiti.
Gli Evangelisti sono straordinari. Vivono in una "topaia" parigina, sono tre storici. Al piano terra c'è l'esperto di preistoria, Mathias, silenzioso e monumentale; gira quasi sempre nudo, al massimo sandali e un paio di pantaloni tenuti su da una cintura di spago. Al primo piano abita Marc, il medievista, il più presente dei tre, romantico e passionale; si guadagna da vivere facendo i lavori domestici nelle case-bene e - quando è costretto - risolvendo casi con il Tedesco o Adamsberg. Al secondo piano troverete Lucien, esperto di prima guerra mondiale, logorroico e vulcanico. In mansarda, a dominare il caos del mondo, l'epicureo Adrian Vandoosler, zio di Marc ed ex poliziotto, cacciato per avere aiutato un criminale a scappare. E' lui a chiamare - provocatoriamente - i tre ragazzi "evangelisti": San Matteo, San Marco (il nipote) e San Luca.
C'è poi il Tedesco, una gamba saltata in un incendio e carattere umorale, archivio pazzesco (lavorava al Ministero) e una metodologia di indagine abbastanza simile - nella sua imponderabilità - a quella di Adamsberg. Per questo, forse, non è stato sviluppato abbastanza (ed è un peccato: i duetti con San Marco in Io sono il Tenebroso o la sua apparizione in Un po' più in là sulla destra sono da antologia).

Strada facendo, il vero protagonista diventa però Jean-Baptiste Adamsberg. Un commissario sui generis, venuto dai Pirenei. Uno "spalatore di nuvole", come lo chiama un collega canadese in Sotto i venti di Nettuno (tassello chiave della saga).
Adamsberg, semplicemente, è irrinunciabile. Risolve i casi senza ricorrere minimamente alla logica. Si limita a camminare per ore, aspettando - quasi come una condanna - la folgorazione, l'intuizione inspiegabile (e infallibile).
Il suo metodo è una tortura per la razionalità del Comandante Adrien Danglard, suo socio e contraltare, dotto poliziotto che conosce tutto lo scibile umano, è mediamente alcolizzato e cresce da solo cinque figli (è stato abbandonato).
Adamsberg è un tipo lunare, non si ricorda mai i nomi, si addormenta durante le conferenze, ha una non-fidanzata (Camille) e un figlio (Thomas) che addormenta semplicemente toccandolo con il palmo della mano: una delle sue molte doti misteriose.
Ha un grande nemico, il mefistofelico Giudice Fevre, e alcuni collaboratori particolari, tra cui la gigantesca tenente Retancourt, che "converte la sua forza in tutto quello che vuole": agilità, furbizia, potenza.
Ogni tanto si rifugia da un'amabile vecchietta, Clementine, conosciuta durante un caso (Parti in fretta e non tornare), che a sua volta vive con un'amica (vecchietta pure lei) hacker.

L'universo di Fred Vargas è ricco e folle, magico e sfaccettato. Uno straordinario compagno di viaggio. Dopo qualche pagina, arriverete a pensare come Adamsberg.
A ritenere normali le sue evoluzioni cerebrali, la sua spericolata e adorabilissima stranezza.
Sono tempi freddi, ognuno ha bisogno di un accappatoio caldo, fuori piove un mondo freddo (cit). Adamsberg, e i suoi compagni, sono splendidi accappatoi. Fidatevi.

Andrea Scanzi - La Stampa

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